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“Il problema non sono i dati di fatto ma i detti di fatto”: così Paolo Fabbri ci racconta il fenomeno delle fake news

Tutti noi in un modo o nell’altro abbiamo sentito parlare di fake news, ma quanto davvero sappiamo di questo fenomeno? Il 28 febbraio, nelle aule dell’Università di Modena e Reggio Emilia, abbiamo avuto l’opportunità di approfondire questo tema durante il seminario “L’efficacia semiotica alla prova dei fake”, tenuto da Paolo Fabbri, semiologo di fama internazionale, e dai docenti Nicola Dusi, Federico Montanari e Damiano Razzoli.

Ad aprire l’incontro è stato il professor Paolo Fabbri, spiegando le origini del fenomeno delle fake news dal punto di vista dello studio dei linguaggi e dei segni. Nato come mezzo per ottenere consenso, a mano a mano esso è diventato uno strumento di cui tutti si servono nei più disparati modi, che vanno tenuti in attenta considerazione per avere un’idea più chiara sulla sua portata. I politici, ad esempio, usano l’argomento ad hominem, ossia per attaccare gli altri; gli accumulatori di like vogliono invece attirare l’attenzione e lo fanno “sparandola grossa”, servendosi di luoghi comuni o leggende metropolitane. Anche se sono i cosiddetti rumors a creare notizie false, è grazie alle persone che le notizie hanno successo e funzionano. Sono le persone come noi a scegliere di condividerle, molte volte perché non riusciamo a distinguere il vero dal falso, ma quello che Paolo Fabbri ci suggerisce in aula è che la causa principale è la mancanza di fiducia e il rifiuto della censura prodotta dal politically correct. Un esempio rappresentativo è quello di Lercio, il sito di satira più divertente del web. Basti pensare a quanti utenti scelgono di condividere le notizie che loro producono nonostante sia palese che si tratti di notizie false e molte volte provocatorie. Probabilmente questo succede perché le persone sono stanche dell’eccessiva censura, e sono sature dell’eccessivo proliferare di contenuti che i media e i politici ci trasmettono ogni giorno. Per Fabbri le fake news sono anche, a loro modo, delle modalità di resistenza a queste istituzioni: viviamo cioè in un’epoca in cui la gente non si fida più dei politici, degli esperti, né dei media.

L’intervento del professor Dusi ha quindi analizzato le origini del fake, riprendendo il volume appena uscito di Paolo Fabbri L’efficacia semiotica. Risposte e repliche (Mimesis, 2017) con esempi tratti dal campo dell’arte e, nello specifico, facendo riferimento a quelle riproduzioni di quadri famosi che sappiamo bene essere quasi impossibile distinguere dall’originale (soprattutto se a cambiare sono piccoli dettagli, come la sola cornice!). Dusi è poi passato all’osservazione dei fake trailer (di cui parla nel suo libro Dal cinema ai media digitali, Mimesis 2014), ossia quei trailer di film che in realtà non usciranno mai nelle sale cinematografiche, perché frutto dell’immaginazione e della creatività degli utenti: se l’argomento vi incuriosisce, consigliamo la visione del trailer di Titanic 2.

Il professor Montanari ci ha invece illustrato alcune delle fake news diventate virali negli ultimi anni. Un esempio? Il simpatico caso della nonna di Laura Boldrini, ex Presidente della Camera dei deputati, associata all’aitante ballerina ottantenne che ha accompagnato il gruppo de Lo stato sociale nella performance sul palco di Sanremo.

Il seminario ha permesso di comprendere un po’ meglio i meccanismi che si celano dietro a un fenomeno così attuale come quello delle fake news. Dopo aver ascoltato il dibattito, è emersa ancora una volta l’importanza di ricordare, a noi stessi e agli altri, che la trappola è dietro l’angolo e che i più giovani, in particolare, vanno istruiti a non caderci, fornendo loro tutti gli strumenti necessari a distinguere il vero dal fittizio.

Un virus quello delle notizie false, va sottolineato, a cui nemmeno il data journalism è immune, ma che può essere “curato” attraverso la verifica delle fonti o fact-checking. Gli strumenti a supporto di questa pratica sono i più disparati, dai siti contenitori di testate o articoli ingannevoli, a piccoli trucchetti come controllare l’affidabilità di un’immagine facendo la ricerca inversa tramite Google immagini. Insomma, i mezzi ci sono, non ci resta che rimboccarci le maniche e andare a salvare il giornalismo!

Gabriella Fauci

Tags : data journalismfake news

The author Redazione Comune